Alex Steinweiss. Dalla musica da sentire alla musica da guardare.
Mauro Colombo
Il nome di Alex Steinweiss ai più non dirà nulla, ma ognuno di noi nella sua vita ha avuto a che fare con la sua geniale intuizione: illustrare con immagini le copertine dei dischi, dal vinile, alla musicassetta, fino al compact disc.
Oggi diamo per scontato che le cover degli album discografici siano immagini che hanno il compito di evocare le emozioni della musica contenuta al loro interno.
Alcune di queste hanno varcato il confine dell’ambito musicale e sono diventate vere e proprie icone di epoche e culture, spesso autentici fenomeni di costume.
Basterebbe pensare all’indimenticabile cover di Sergent Pepper dei Beatles, alla banana disegnata da Andy Warhol per i Velvet Underground, fino ad arrivare a The dark side of the moon dei Pink Floyd (fortemente ispirata a una copertina di Steinweiss), a Born in the USA di Bruce Springsteen o a Nevermind dei Nirvana. Sono centinaia gli album passati alla storia grazie alle loro indimenticabili cover.
La preistoria dei dischi
Il primo grammofono, o fonografo, fu brevettato da Thomas Alva Edison nel 1888. Ma i dischi veri e propri iniziarono a essere prodotti commercialmente nel 1895 con la nascita del 78 giri.
Prodotti in gommalacca, larghi circa 30 centimetri, erano caratterizzati da solchi di dimensioni molto maggiori di quelli attuali, circa il triplo.
La gommalacca era un materiale estremamente fragile, e la musica incisa su questo materiale era affetta da un fastidioso fruscio, una problematica risolta in seguito con l’avvento del vinile come nuovo supporto.
Nessuna concessione all’immagine, i dischi erano confezionati in buste di carta marrone, molto simile a quella usata per i sacchetti del pane, con un’etichetta circolare con i dati dell’esecuzione incollata al centro del disco di vinile.
Fu proprio Alex Steinweiss alla fine degli anni ’30 ad avere l’idea di dar loro una veste grafica, cambiando radicalmente il percorso dell’industria discografica.
Alex Steinweiss: il ragazzo che imparava velocemente.
Steinweiss era nato nel Lower East Side a Manhattan nel 1917 da una famiglia originaria dell’Europa dell’est.
Nonostante le difficoltà economiche gli fu permesso di avere una buona istruzione e in seguito, grazie a una borsa di studio, di assecondare le sue propensioni artistiche entrando alla prestigiosa Parsons School of Design di New York.
Dopo la laurea ebbe l’opportunità di entrare nello studio del famosissimo Graphic Designer Joseph Binder. Le figure monodimensionali caratterizzate da campiture piatte che caratterizzavano lo stile di Binder influenzarono in modo decisivo Steinweiss, che, in breve, divenne uno dei suoi più apprezzati collaboratori.
Il giovane apprendista iniziò a sviluppare tecniche espressive molto personali che diventarono, col tempo, la sua inconfondibile cifra stilistica.
Binder notò subito che Alex aveva un’attitudine innata a collegare velocemente idea ed esecuzione… come non aveva mai visto in nessuno dei suoi allievi.
Terminato l’apprendistato, e dopo una breve esperienza di lavori pubblicitari realizzati in un piccolo studio di sua proprietà, nel 1938 accettò la proposta della Columbia Records per ricoprire il ruolo di direttore artistico. Tra le sue mansioni iniziali c’era la progettazione e l’illustrazione di poster e leaflet promozionali per le uscite dei nuovi dischi nei negozi specializzati.
Le sue proposte grafiche, così innovative rispetto alle rigide guidelines del settore, incontrarono il gradimento dei vertici della casa discografica.
Steinweiss propose di innovare radicalmente la percezione del disco, conferendogli, attraverso la grafica e l’uso di immagini, la dignità di oggetto da guardare, oltre che da sentire.
Come ricordò in seguito:
“- … le buste marroni erano così anonime e poco attraenti, così poco distinguibili le une dalle altre. Mi chiedevo quindi perché non trasportare la grafica che realizzavo per i poster anche sull’oggetto disco vero e proprio? Presi il coraggio a quattro mani e convinsi i dirigenti a lasciarmi progettare una copertina con grafica e illustrazioni. Senza saperlo, avevo appena messo in moto un’autentica rivoluzione.”
Nacque così la cover di “Smash Songs Hits” di Rodgers e Hart, il primo disco della storia ad avere un’immagine in copertina. Si trattava dell’elaborazione grafica dell’insegna di un concerto di un teatro di Broadway.
L’intuizione di Steinweiss portò ad un gigantesco sviluppo nelle strategie di marketing di tutte le case discografiche. Progettare una veste grafica personalizzata per ogni singolo disco prodotto portò a un enorme incremento delle vendite. Emblematico il caso del disco della “Sinfonia n.3 di Ludwig van Beethoven, la cui copertina interamente riprogettata da Steinweiss incrementò del 900% il numero di copie vendute in precedenza.
Il vinile: dalla busta all’album.
La tecnologia intanto si era evoluta. Il passaggio dalla ceralacca al vinile permise di ridurre significativamente le dimensioni dei solchi in cui venivano incisi i brani (i celeberrimi “microsolchi”) permettendo la presenza in ogni disco di un maggior numero di brani o una loro maggiore durata (il “long Playing”).
Si creava però un problema: durante il trasporto i solchi delle incisioni, con la relativa protezione della sottile busta di carta in cui erano contenuti, si deterioravano molto facilmente.
La Columbia commissionò a Steinweiss il design di un nuovo format di copertina che ponesse rimedio a questo inconveniente. Egli sviluppò varie proposte, che si scontravano con insormontabili difficoltà produttive: non esistevano infatti ancora macchinari che potessero realizzarle ed avviare così una produzione in serie.
La situazione rimase in fase di stallo fino a quando Steinweiss convinse la Imperial Paper ad investire 250.000 dollari per la realizzazione di macchine cartotecniche in grado di stampare e confezionare i nuovi contenitori di dischi. In cambio l’azienda avrebbe avuto la titolarità esclusiva dei brevetti e delle licenze di fabbricazione.
Nacque così il formato di copertina “ad album”, che è giunto praticamente inalterato fino ai giorni nostri.
Steinweiss alternò in seguito la produzione discografica a quella di designer pubblicitario. Durante gli anni della guerra produsse molti materiali di propaganda governativa: dai poster per la vendita di buoni del Tesoro alle copertine di dischi patriottici, fino a illustrare cortometraggi sullo sforzo bellico degli Stati Uniti.
La ricerca e le nuove collaborazioni di Alex Steinweiss
Dopo il conflitto Alex Steinweiss collaborò con altre case discografiche, tra cui RCA, Decca, Remington. Il suo stile divenne ancora più personale, e aggiunse alla sua gamma espressiva anche l’utilizzo della fotografia. Vividi colori accostati tra loro in contrasti spesso azzardati, uniti all‘abilità di giocare in piena libertà con i lettering, che spesso erano di sua progettazione, hanno contribuito a costruire il suo caratteristico immaginario visivo.
Un esempio dell’iconicità di alcune sue opere è la cover realizzata nel 1949 per il musical di Broadway “South Pacific”, che è rimasta inalterata anche nell’evoluzione dei vari supporti tecnologici che si sono succeduti in oltre 50 anni: dal vinile ai nastri, fino ai compact disc. Esiste solo un oggetto di graphic design più longevo di questa cover, nientemeno che il logo della mitica bottiglia di Coca Cola.
La sua ricerca negli anni successivi proseguì utilizzando nuove tecniche come il ritaglio e il collage, e lo stile della sua grafica fu una citata fonte di ispirazione per moltissimi graphic designer degli ‘50 e ’60.
Lo stesso Saul Bass gli rese spesso omaggio, affermando che senza l’opera di Steinweiss non sarebbe riuscito a sviluppare il suo il stile espressivo che lo ha reso uno dei più grandi designer di grafica pubblicitaria del XX secolo.
Anche la famosa collezionista d’arte e gallerista Peggy Guggenheim possedeva una ricca collezione di album disegnati da Alex Steinweiss che conservava maniacalmente, senza mai averli aperti.
Intorno ai primi anni ’70 si allontanò dalla professione, dedicandosi solo a quella che considerava la sua più grande passione: la pittura. Cominciò così la sua nuova carriera di pittore, firmando le sue opere con lo pseudonimo di “Piedra Blanca”.
Dipinse fino agli ultimi giorni prima della sua morte, nel 2011.
Molti dei suoi lavori sono riconosciuti come vere e proprie opere d’arte e sono presenti in prestigiosi musei di design di tutto il mondo.
Nella sua carriera Alex Steinweiss realizzò oltre 2500 copertine di dischi, moltissime delle quali considerate ancora oggi autentici capolavori.
Ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui l’Award dell’Art Directors Club, ma, paradossalmente, mai un Grammy Award, il premio indetto dall’associazione delle case discografiche Statunitensi.
E questo è sempre stato il suo più grande cruccio.